1890, primavera, ore 11.00 del mattino

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1890 ore 11

1890 ore 11 del mattino

Stamattina Gustavo Baldini, che come sempre si è levato di buon’ora, invece di dedicarsi alle cure del suo gabinetto bacologico*, è uscito portando con sé la sua bella 13×18 in legno di ciliegio con gli angoli di ottone lucido e il soffietto di pelle rossa, il treppiede e, avvolto nel panno nero, uno chassì nel quale la sera prima ha inserito una lastra ortocromatica.
Qualche settimana fa il Consiglio comunale ha approvato la ristrutturazione del palazzo dei Priori proposta dal signor Tito Porfiri, capo dell’ufficio tecnico, e i lavori inizieranno tra poco. Per questa ragione il sindaco, come tante altre volte, si è rivolto a lui, che sa essere sempre disponibile oltre che fotografo provetto, perché documenti la trasformazione che sta per avvenire, con la demolizione dell’intero avancorpo dell’antico palazzo (o di quello che ne resta, essendo scomparse già da tempo le prime due arcate del loggiato).
È un momento di grande fervore, addirittura in tutta Europa: c’è la certezza che il secolo ormai prossimo sarà più prospero di quello che sta per chiudersi e la belle époque impazza, con la sua allegria e le sue follie. Anche a Sassoferrato si balla, nel salone degli Scalzi o nella sala del Consiglio, e poi sono stati appaltati i lavori dell’acquedotto e finalmente il prezioso liquido scorrerà a volontà, e tra poco arriverà anche la strada ferrata, che ci collegherà a Fabriano e alla lontana Urbino, dove i giovani meritevoli potranno più facilmente frequentare l’Università. C’è infine chi comincia a sognare di unificare in un unico grande e luminoso edificio le classi elementari disperse per il paese in stanze occasionali e spesso oscure, o di sostituire i lampioni a olio dell’illuminazione pubblica con la luce elettrica, che già rende sfavillanti le notti delle grandi città…
Passa perciò praticamente inosservato l’ennesimo oltraggio inferto a un edificio che, dopo la costruzione del nuovo palazzo comunale, nel quale sono stati pian piano trasferiti gli archivi e gli uffici amministrativi, ospita ormai solo un carcere fatiscente e malsicuro ed è caduto in parziale disuso. Se nel corso dei secoli molte erano state le sue vicissitudini, rispecchiandovisi perfettamente le vicende tormentate della comunità che vi trovava la sua più alta rappresentanza, questa sarà comunque la trasformazione più radicale, quella che cancellerà definitivamente le ultime tracce dell’impianto e della volumetria medievale per proporre un’ampia facciata simmetrica e decorata con archetti pensili, naturalmente falsa, complanare a quella della nuova costruzione e come questa prospiciente una piazza di dimensioni inusitate che, a dire il vero, mantiene a stento una sua effettiva centralità nella vita comunitaria. Ci si tengono tre fiere all’anno, c’è un’osteria e un fabbro ferraio e l’arco trionfale che si vede sul fondo, distrutto da molti secoli il quartiere altomedievale che attorniava la chiesa di San Michele Arcangelo (l’attuale teatrino Perotti), apre tristemente su un quadrante poco antropizzato: orticelli con qualche capannuccia, una piccola cava di pietra e prati scoscesi attorno al rudere della Roccaccia…
Il signor Gustavo non ha però di questi pensieri quando, scelto un punto tra la chiesa di San Giuseppe e casa Frasconi, appoggia il cavalletto al selciato, vi fissa la camera e comincia ad armeggiare sotto il panno nero, attirando l’attenzione dei due o tre passanti occasionali, del direttore della posta, del famiglio e dello scrivano comunali, che si fermano a guardare. È un uomo meticoloso: prepara perciò con cura la ripresa livellando la macchina, mettendo al centro dell’immagine il corpo di fabbrica e la scalinata destinati a sparire e spostando verticalmente l’ottica per correggere le linee cadenti degli edifici.
La porta del Monte di Pietà resta fuori dall’inquadratura, ma se ne vede la finestra, e poi non è così importante. Piuttosto quello che ci vuole è un po’ di vita. Il pubblico nel frattempo è divenuto più numeroso: c’è qualcuno disposto a fare da comparsa? Si fanno avanti in quattro, due signori con il bastoncino da passeggio e due poco più che ragazzi. Il giovanotto che ha appena comperato da Richetta una fila di pane e che sta lì davanti, incantato, da almeno mezz’ora, resti pure dov’è; gli altri si dispongano in diagonale e tutti, ad un comando, comincino, molto lentamente, a camminare.
Il signor Gustavo si copre ancora con il panno nero, controlla l’inquadratura e chiude il diaframma: con il sole sulla facciata le figure in ombra rimarranno praticamente delle siluette, ma non è detto che ciò costituisca un difetto. Si solleva, inserisce lo chassì, apre il volet e impugna la peretta di gomma. Sono da poco passate le undici, dà un’ultima occhiata, grida un ordine e schiaccia.
Chiude il volet, estrae lo chassì e dice, correndo a casa a sviluppare la lastra:
– Vado a vedere se è venuta bene, altrimenti ne faccio un’altra. Intanto grazie a tutti.
Il maresciallo, uscito or ora dalla caserma, resta impettito a guardia della macchina e saluta galante la moglie del pretore affacciata all’ultima finestra di palazzo Oliva.
Il cinema non è ancora nato (per le prime prove dei fratelli Lumiére dovranno passare ancora quasi 5 anni), ma a me pare che in piazza Oliva stamattina, se ne sia vissuta una inconsapevole anticipazione.
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* Il signor Gustavo forniva le uova dei bachi da seta alle donne della zona (che in questo modo, integravano i bilanci sempre troppo magri delle loro famiglie), le consigliava e le assisteva in tutti i possibili problemi e, al momento giusto, ritirava i bozzoli e li portava alle filande.
(14 febbraio 2008)
Quasar
P.s.: grazie a Massimo anche per questa immagine.

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