“SI” al mini eolico, “NO” al parco nazionale e un nuovo piano boschi
|Frontone – Il semplice “innovare nella tradizione” non gli basta. In fondo sarebbe un banale lavoro di potature, tanto per rinvigorire le radici della sua comunanza. Mentre per il ventisettenne Daniele Tagnani, laureato in scienze politiche a Roma, presidente eletto dell’Università degli Uomini Originari di Frontone, regola che poggia su uno statuto risalente al 1300, gli oltre 2200 ettari del massiccio del Catria che amministra con la fiducia dei trecento utenti, meritano di più. Esigono politiche che rigenerano la linfa della comunanza senza però intaccarne il Dna.
Il risultato sono azioni strategiche che posizionano di nuovo l’Azienda Speciale del Catria come un perno operativo a servizio di una cordata dove ci sono tutte le comunanze e fa tabula rasa dei pregiudizi. Ma anche decisioni si discostano dell’attuale linea politica ambientalista del comprensorio. Come un progetto di un parco eolico con micro-pale sull’Infilatoio e un “no” al parco nazionale che numerose associazioni ambientaliste e non solo vorrebbero istituire sulle terre che collegano le cime dello Strega fino al Nerone.
“Il fatto è – spiega Tagnani – che gli Uomini Originari mi hanno scelto proprio per la mia linea di pensiero sulla natura giuridica della nostra comunanza. L’università è una proprietà collettiva che deve rimanere sotto il controllo del pubblico e dunque dell’UM del Catria Nerone e non passare nelle mani dei privati. La nostra amministrazione è lineare: mantenere lo stato di fatto, salvaguardare il patrimonio e migliorarlo. Quanto alla questione parco va precisato che il progetto nasce sulle nostre terre senza che noi utenti siamo stati coinvolti e poi ignora che la montagna è tutelata dalle regole con cui la gestiamo come utenti e da una serie di vincoli come aree floristiche, sic e zps imposte da comune, province e regioni.”
Tradotto però sul piano operativo, Tagnani e il suo consiglio fanno scelte che provocano micro sismi perfino in regione. “Per sbloccare l’economia della nostra montagna vogliamo sviluppare l’energia rinnovabile, posizionare un sistema di offerta turistica con i nostri 11 rifugi, potenziare l’economia dei pascoli con i fondi del Psr, fare del bosco una risorsa creando una vera filiera boschiva con un piano di gestione forestale dettagliato partendo da uno studio di fattibilità”. Tanto per verificare se il progetto senza incentivi e fondi perduti regge per conto suo. Propositi comunque che danno una svolta ad un bilancio finora di poche decine di migliaia di euro dove le entrate sono legate ad un’antenna telefonica, un po’ di legna e sei rifugi.
Una svolta che coagula le comunanze presenti nell’entroterra montano di Sassoferrato, SS Abbondio, Frontone, Cantiano e spinge verso una nuova specifica normativa che disciplina gli assetti fondiari collettivi e gli usi civici della regione Marche che finora inquadra le oltre 250 comunanze marchigiane anche con una arcaica legge mussoliniana del 1927.
Poi a dare forza alla linea strategica del Cda guidato da Tagnani c’è anche la nuova carta di Fonte Avellana, quella firmata a metà maggio che vede la montagna strumento di sviluppo da applicare a tutto l’Appennino e che, letta attraverso la lente d’ingrandimento del workshop delle Unioni Montane che si è svolto a Fabriano ad inizio febbraio, fa della montagna che corre da Borgo Pace fino ai Sibillini un entroterra che non chiede assistenza ma vuole valorizzare o meglio monetizzare le sue risorse.
Insomma si profila una nuova economia, quella della montagna e della sua gente che non chiede assistenza ma il diritto a percepire i proventi delle licenze di caccia, di pesca, di funghi, ottenere il riconoscimento che la montagna è un serbatoio di acqua o che genera ossigeno curando aree boschive. Ecorisorse che sul mercato hanno un preciso prezzo ma che non tutti sono d’accordo di monetizzare.
Véronique Angeletti@riproduzione riservata