Un “ni” vale di più dei “no” dei cittadini?
Apecchio – Sembrava una guerra vinta. Di cui parlarne era quasi superfluo. Invece l’epilogo di undici anni di battaglie potrebbe aver risvolti molto amari. Ne è convinto il Comitato Interregionale Umbria-Marche No Tubo. Quello che affianco ad altri comitati si oppone alla costruzione da parte della Snam del gasdotto che collega le Puglie all’Emilia Romagna. E la colpa sarebbe tutta del Presidente della regione Marche Luca Ceriscioli e della giunta regionale dell’Umbria che non hanno rappresentato la volontà dei cittadini e dei comitati all’ultima conferenza indetta dal Ministero dello Sviluppo Economico. Conferenza convocata tra l’altro con un’urgenza piuttosto ambigua. Perché se la riunione era prevista in agenda per settembre, nei fatti è stata convocata il 6 agosto, con un mese di anticipo, trovando le regioni Marche ed Umbria, nonostante undici anni di negoziazioni, paradossalmente poco se non del tutto impreparate.
“L’Abruzzo comunque c’era – affermano i comitati “No Tubo” – . C’era la Regione, la Provincia e il comune di Sulmona. Enti che, in ogni caso, avevano tutti, da tempo, negato il loro assenso all’intesa con lo Stato. L’Umbria c’era anche. Però era rappresentata da un funzionario e dunque non da un politico e ha dichiarato solo verbalmente la contrarietà della Regione all’imposizione del progetto. La grande assente purtroppo era la Regione Marche. Il Presidente Ceriscioli e i suoi consiglieri, dapprima hanno dato scarso peso alla cosa; poi, informati a dovere attraverso un intenso lavoro di pressing, cui ha dato un contributo fondamentale il consigliere regionale Gino Traversini, si sono resi conto che prima del loro avvento c’era stata una dura battaglia, durata (fin qui) undici anni ed hanno garantito che avrebbero fatto la loro parte. Ma, per non essere precipitosi, si sono astenuti dal partecipare. Dopo tutto “sono nuovi”, ”da poco insediati” e quindi “a digiuno sull’argomento”. Mosse con cui il Presidente Ceriscioli e i suoi hanno scaricato i comitati, i cittadini (proprio quelli che li hanno eletti) e sconfessato Gino Traversini su tutta la linea. Appare sempre più evidente – concludono i comitati No Tubo” – che gli organi dello stato tendono a fare blocco unico con la multinazionale, evidenziandosi di fatto come una seconda controparte rispetto ai cittadini e agli enti locali che li rappresentano. Comunque le Regioni, con la loro pochezza, si sono a questo punto assunte tutte (ma proprio tutte) le responsabilità inerenti la annosa vicenda, nonostante anni di negoziazioni e di paziente collaborazione e lavoro. Hanno ancora una manciata di giorni per esprimere il proprio parere, fuori tempo massimo. La decisione finale poi, per colpa delle Marche e dell’Umbria, verrà presa direttamente dal Consiglio dei Ministri. E’ chiaro che se dalle due regioni verrà un parere netto, ben argomentato e sostenuto con la forza necessaria, negando l’intesa col governo e quindi allineandosi all’Abruzzo, ci sarà il parere negativo di ben tre regioni e questo qualcosa dovrà pur contare. Ma date le premesse, con tutti questi “cuor di leone” che si aggirano nei palazzi del potere, è come dire che siamo nelle mani del Padreterno. Non ce ne dimenticheremo”.
Comunicato Stampa del Comitato Interegionale Umbria Marche “NO Tubo” del 16 agosto 2015
Per approfondire…
La storia del Metanodotto Adriatico ufficialmente inizia a luglio 2005, quando la British Gas per trasportare il gas di cui è proprietaria chiede di installare un gasodotto che collega Massafra, in provincia di Taranto, a Minerbio vicino Bologna. Un progetto che attraversa ben 10 regioni della Penisola e si pone come l’alter-ego Adriatico del gasdotto realizzato lungo il versante tirrenico.
Descriverlo è semplice: è un grosso tubo d’acciaio largo 120 cm, che s’interra sotto di cinque metri ma che, per questioni di sicurezza e anche considerata la pericolosità del prodotto, necessità di servitù in superficie larghe 40 metri ed una fitta rete di strade di servizio. Praticamente è una lunga linea che, lì dove passa, divide in due i terreni.
Sul progetto, come il suo alter ego Tirrenico, il metanodotto Adriatico si sviluppa lungo la costa ma solo fino a Foggia. Perché nel foggiano, e nessuno finora riesce a spiegarlo, prende il via per gli Appennini snodandosi tra falde e crinali. Il tubo per raggiungere Bologna deve attraversare le terre di tre parchi nazionali, di un parco regionale, di 21 siti di importanza comunitaria e dunque s’inserisce in aree non solo di alta valenza per l’eco-sistema ma molto fragili sul piano idrogeologico e pure ad alto rischio sismico. Nelle Marche, il gasdotto lambisce due comuni maceratesi e passa nei comuni di Apecchio, Mercatello sul Metauro, Borgo Pace e nei comuni delle ex marchigiane Pennabilli, Casteldelci e Sant’Agata Feltria. Chilometro più, chilometro meno il metanodotto è lungo 687 chilometri e, per colpa o per merito della politica a puzzle del nostro Bel Paese, bussa ad ogni regione con richieste di Via sul tratto che riguarda solo il suo territorio. Ragione per cui questa mega-opera si presenta segmentata in cinque progetti più piccoli che diventano cinque diverse valutazioni di impatto ambientale che obbediscono a decreti, norme, pareri, sensibilità politiche e burocratiche altrettanto diversi.
All’origine, il gasodotto avrebbe dovuto trasportare il gas naturale liquefatto del rigassificatore di Brindisi, quello mai costruito da British Gas Power Spa per ragioni “ burocratiche”. Oggi dovrebbe mettersi a servizio dei tre nuovi gasdotti che stanno per approdare nelle Puglie. Quelli provenienti dal Mar Caspio. I famosi Poseidon, TAP (Trans Adriatic Papiline) e Interconnector LNG. Gasdotti che faranno dell’Italia l’hub del metano per l’Europa. Il che significa che il metanodotto Rete Adriatica dovrebbe trasportare dal sud al nord metano, con una capacità di 28 milioni di m3/giorno ossia 8 miliardi di m3/anno e procurare una resa di 26,5 milioni di euro all’anno.
Quanto al finanziamento, è già risolto dal 2009 quando la BEI, Banca Europea Investimenti, ha accordato al Gruppo Snam 300 milioni di euro per la copertura del 50% dei costi per la realizzazione del primo tratto del gasdotto e, ad ottobre 2013, altri 365 milioni per lo sviluppo del piano di “distribuzione e trasporto di gas naturale attraverso la rete nazionale”.
Comunque mi ricordo quando scrissi nel 2010, sul Corriere Adriatico, del caso “Metanodotto Adriatico” approdato al Parlamento europeo, con una interrogazione prioritaria del deputato catalano Raül Romeva i Rueda (Gruppo Verdi-Ale). Deputato che chiedeva a Bruxelles con “quali iniziative intendeva la commissione assumere – in rispetto della normativa comunitaria – per ricondurre l’Italia alla corretta applicazione delle direttive europee in materia di valutazione di impatto ambientale, di valutazione ambientale strategica e di tutela degli habitat naturali e semi-naturali”. La sua richiesta poggiava su un ricorso presentato il 25 giugno 2010, presso la commissione di Bruxelles dal Gruppo d’Intervento Giuridico, dal Comitato “No Tubo”, dalla Federazione nazionale Pro Natura, dal WWF, da Italia Nostra, da Mountain Wilderness, dai Comitati cittadini per l’ambiente di Sulmona, dal Comitato civico Norcia per l’ambiente, dalla La Lupus in Fabula e da Arci Caccia – Perugia. Ma ricordo anche che tra i primi firmatari c’era la Provincia di Pesaro-Urbino, quella di Perugia, la Comunità Montana Catria e Nerone ed il Comune di Gubbio. E la domanda sorge spontanea: come ha fatto il Presidente della Regione Marche, Luca Ceriscioli, ex primo cittadino di Pesaro, a non essere sufficientemente al corrente del metanodotto, lungo quasi 700 chilometri che lambisce due comuni maceratesi e passa nei comuni pesaresi di Apecchio, Mercatello sul Metauro, Borgo Pace e nei comuni delle ex pesarese Pennabilli, Casteldelci e Sant’Agata Feltria? E, sopratutto, l’esecutivo regionale non si consulta con i suoi funzionari ?
Véronique Angeletti
Per conoscere le ragioni del no…
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