L’apertura della caccia, la vera apertura!
|Perché ho scritto “vera”? Semplicemente per il fatto che, dall’entrata in vigore dell’ultima legge quadro nazionale sulla caccia risalente al lontano 1992, i seguaci di Diana si sono abituati ormai da decenni alle cosiddette “aperture per specie”. Nella giusta logica infatti di prelievi venatori effettuati nei modi e nei tempi opportuni, perciò in base a dei ritmi biologici dei selvatici che possano sostenere una ragionevole e misurata pressione venatoria, le Aperture ufficiali previste dal calendario venatorio della nostra Regione, che interessano in particolare noi Cacciatori dell’Appennino umbro-marchigiano, sono quelle elencate qui di seguito. Il 1^ settembre, solo nella forma di caccia da appostamento, sostanzialmente per tortore, colombacci, cornacchie grigie. La 3^ domenica di settembre, quella principalmente oggetto delle presenti note e nella forma di caccia vagante e con l’utilizzo del cane, per la pregiata “nobile stanziale” – tale era definita ai tempi d’oro, ossia ormai mezzo secolo fa – rappresentata da lepri, fagiani, starne, ove e se presenti queste ultime. Detta anche Apertura generale poiché riguardante, oltre lepri fagiani starne, la maggior parte degli altri selvatici consentiti. La 1^ domenica di ottobre, anche in questo caso nella forma vagante e con l’utilizzo del cane, per la bellissima coturnice dell’Appennino. Questo selvatico da molti decenni denuncia una preoccupante scarsa consistenza numerica causata in primis, come del resto per la stessa starna, da un habitat idoneo di modestissima estensione. In sintesi sarebbe consigliabile per entrambe le specie il divieto di caccia e, soprattutto, il miglioramento ed ampliamento, per quanto possibile, dell’ambiente ad esse confacente. Il 1^ novembre di solito per il cinghiale in tutte le svariate forme di caccia, selvatico che invece gode di un habitat vasto e favorevole, e perciò con un’elevata presenza numerica nei nostri boschi e macchie. Questo suide boschereccio risulta di frequente ingombrante e pernicioso per l’agricoltura, per le fungaie e tartufaie, anche per l’altra selvaggina di minor mole, devasta orti domestici, può essere pericolosissimo per l’incolumità degli automobilisti lungo le vie di comunicazione ed altro ancora che certamente i cittadini hanno ormai conosciuto. Nell’arco dell’anno vi sono poi altre Aperture ufficiali, previste sempre dal calendario venatorio della Regione Marche, per la gestione ed il contenimento numerico di altri ungulati (in particolare il capriolo, oltre al cinghiale e daino) che hanno colonizzato ormai da un paio di decenni il nostro territorio. Ma le forme di caccia previste e consentite in questi casi sono quelle tipiche mutuate dalla cosiddetta tradizione mitteleuropea, cioè “alla cerca” e/o “da appostamento” – di solito mattutino o serale – con rigidi criteri di selezione e valutazione del capo da abbattere al fine del miglioramento biologico della specie oltre che, quando necessario, per il suddetto contenimento numerico. Queste forme di caccia di certo non appartengono ai nostri usi e costumi venatori, ma un numero sempre maggiore di giovani appassionati nembrotti ne stanno assaporando tecniche e modi, utilizzando armi all’uopo destinate, cimentandosi in nuove problematiche balistiche e vivendone difficoltà e piaceri. Inoltre è doveroso citare anche una novità introdotta da questo anno dall’organo competente regionale, seppur controversa e non da tutti i cacciatori accettata per i possibili risvolti di disciplina ed etica venatoria. Si parla dell’unica giornata consentita per la caccia alla quaglia con l’utilizzo del cane da ferma tra l’Apertura del 1^ settembre e “quella vera”, detta anche Apertura generale, della 3^ domenica di settembre. Di fatto può essere considerata anch’essa un’Apertura ufficiale, contrastata però, come detto, da coloro che sospettano, a carico di colleghi ritenuti poco rispettosi di leggi e regole, abbattimenti illeciti di altri selvatici diversi dalla quaglia, fagiani e lepri innanzitutto. Per la verità in passato senza dubbio vi sono stati carnieri illegali riguardo ai tempi consentiti, con i cacciatori anziani – più “predatori” forse per retaggio sociale e/o culturale? – che li addebitavano ai cacciatori giovani – più “accaniti” per l’insorgente forte passione –, ed anche viceversa dei giovani che nell’addebitare tali illegali carnieri additavano gli anziani. Ma questi fatti di irregolarità non sono di sicuro prerogativa esclusiva della categoria dei seguaci di Diana, rammentando i costumi ben noti della società italiana tutta…! Da ultime annoveriamo quelle che sono le più affascinanti ed intime Aperture per ciascuno di noi appassionati dell’arte venatoria: le Aperture “personali”, al selvatico o ai selvatici migratori prediletti. Queste speciali giornate di caccia, seppur possibili in un arco temporale delimitante l’inizio e fine periodo di prelievo consentito in base logicamente al calendario venatorio, non hanno una specifica data codificata dalle leggi, come ad esempio per la stanziale che appunto “staziona” ed è quindi “fruibile” (che termine ipocrita e da ambientalismo da salotto radical chic! Quanto più verace e schietto è “cacciare”, o “procacciare” nel caso si trattassero di funghi, ad esempio) sul territorio per tutto l’arco dell’anno. Le Aperture “personali” sono invece quelle suggerite dal proprio istinto ed intuito stimolati dall’osservazione di venti, temperature, perturbazioni e cambiamenti stagionali locali tali da farci presentire, quasi magicamente, l’arrivo sui nostri monti del migratore alato tanto desiderato proprio in quel giorno prescelto per la prima volta. Trattasi in ordine cronologico dell’Apertura alle mitiche “palombe” (colombacci), gli “uccelli azzurri” insidiati ai valichi montani con i primi venti da settentrione nelle terse giornate ottobrine. Oppure ai “tordini” (tordi bottacci), quando giunge la prima vera pioggia d’autunno molto più penetrante e fredda del temporale di fine estate. Concludendo “in gloria”, per dirla con ironica enfasi, nel citare l’Apertura alla “regina”, ossia la beccaccia, che ogni buon cacciatore sassoferratese un tempo, e forse tuttora, iniziava a ricercare nei boschi nel giorno dedicato ai Santi, oppure ai Morti o a San Martino secondo il suo presentimento o piacimento, comunque quando l’Autunno era al suo apice e fulgido nei colori. In bocca al lupo! IL TORO E LA CHIOCCIA – Ma insomma – sbottò il toro un giorno, dando una gran cornata allo steccato, – perché io devo stare qui rinchiuso! Perché devo star sempre impastoiato?! Sono parente stretto della mucca: perché lei pascola libera, e io invece sono sempre qui legato? – . E una chioccia che covava in un cestino: – Ma perché quando sei sciolto rompi tutto! – . Sotto le ali qualcosa scricchiolò: da un uovo sgusciò fuori il primo pulcino. Da “Le favole del Cacciatore” di Marcello Cozzi – Editoriale Olimpia – . Finito di stampare nell’ottobre 1976 con i tipi della “a.c. grafiche” di Città di Castello (PG).
Franco Pesciarelli
Settermontecatria.it