Lina, la sarta dei minatori
|Alcuni anni fa mia nonna Lina, così conosciuta da tutti anche se il suo vero nome era Elena, è stata portata all’onore della cronaca con una foto su un giornale locale. Semplicemente avvenne questo: si era da poco svolto il Giro delle Due Miniere organizzato ogni anno a Cabernardi dall’Associazione Culturale “La Miniera” onlus e l’articolo che ne parlava era accompagnato da una foto di mia nonna con il gruppo dei partecipanti, la cui didascalia riportava “La sarta dei minatori”. Semplicemente uno dei sentieri dei minatori riproposto nel giro sbuca proprio davanti casa dei miei nonni materni e mia nonna Lina si trovava lì fuori e seppure già molto anziana, sollecitata e aiutata da noi familiari, ci ha raccontato una storia che io ho sempre sentito fin da piccola. Ci raccontò di quando era aperta la miniera, di lei giovane donna con tre figli piccoli, e una deceduta a soli 9 mesi, un marito si minatore ma non di quelli che andavano sotto terra perché malato ai polmoni (mio nonno ha passato diversi mesi al sanatorio di Ancona e per questo era stato messo a lavorare come guardiano nel “ventolone” di Via Cafabbri). Fu in quel periodo che una dipendente della Montecatini, che mia nonna definiva “assistente”, una sorta di assistente sociale dell’epoca, conoscendo la condizione della mia famiglia e con mio nonno malato al sanatorio, aveva proposto a mia nonna di cucire per la miniera.
Mia nonna aveva appreso fin da giovane il mestiere di sarta “da omo”, a proposito del quale lei era solita dire che “era più difficile sà…” e così accettò di buon grado e da lì iniziò a fare dei lavoretti per la Montecatini; perlopiù cuciva parnanze e tascapani per i minatori. Le parnanze erano come dei sinaloni di tela che si allacciavano dietro e che indossavano i minatori che si occupavano della spillatura dello zolfo nei calcaroni. Il tascapane invece, sempre in tela, era la borsa dei minatori, comunemente denominata la guluppa, per portarsi da mangiare a lavoro: ci si metteva perlopiù un tozzo di pane, frittata o affettati, acqua, vino a l’acetello….
Fin da piccola ho ascoltato questa storia che mia nonna raccontava spesso, continuando a ringraziare quella “assistente” che ha dato una possibilità di lavoro ad una donna di famiglia.
Ancora a casa abbiamo alcuni tascapani in ricordo di nonna Lina e della miniera, oltre ad averne donati alcuni esemplari al Museo di Cabernardi.
Emanuela Lucertini
Tanto per leggere quello che si scriveva nel 2009 quando il Parco Archeominerario era ancora nella punta delle matite dell’ufficio tecnico comunale..
ARCEVIA – Ci sono passeggiate che regalano emozioni e fanno riaffiorare i ricordi. Passeggiate fatte di stradelli e di sentieri. Come quella organizzata, ieri, dal Parco delle Miniere di Zolfo delle Marche. Una passeggiata in due temp, partita da Palazzo, si snodava tra Arcevia e Sassoferrato, e fatto tappa alla miniera di Cabernardi; poi, dopo pranzo, diritto al polo estrattivo di Vallotica, a Canterino e nei locali di lavorazione di Bellisio Solfare a Pergola. Un giro lungo chilometri, come quelli che, ogni giorno, migliaia di minatori, per lustri, hanno fatto in molti a piedi per scendere nelle buie gallerie della Montecatini e lavorare nell’inferno della sua raffineria. Ed è a tutti i minatori del comprensorio che il Parco ha dedicato la seconda edizione della sua festa. A quella gente che ha reso la miniera di Sassoferrato uno dei più grandi poli minerari estrattivi di zolfo d’Italia, se non d’ Europa. Se sono stati in pochi a rispondere all’invito del Parco, di mattina – colpa di un orario troppo mattutino -, di pomeriggio è stato un successo. Gente da ogni dove come un nucleo di signore arceviese, Rita, Franca, Marcella, legate alla miniera chi per colpa di uno zio, di un padre o di un fratello. Una bella festa che ha iniziato sabato con una messa, una cena e si è chiusa con un ballo e l’elezione di Maria Paci, 71 anni, come reginetta. Una festa che prosegue sabato prossimo ad Arcevia durante la notte bianca con la seconda edizione del torneo delle miniere.Un grande evento che lo poteva però essere ancora di più, se il Parco non fosse in eterno stand-by. Istituito nel 2005 è tuttora gestito da un Comitato di Gestione Provvisorio che deve ancora inviare al Ministero il suo definitivo statuto. Un Parco a doppia velocità dove Novafeltria concretizza i suoi progetti (80.000 euro per il rifacimento dei forni Gill) e Sassoferrato non ha ancora avviato l’esproprio dei manufatti e soffre nel completare il suo museo. Sono mesi che i comuni si arenano su questioni di sede, di nomine, di spartizione di finanziamenti con il rischio di vedere il governo riappropriarsi del milione di euro in dotazione. E il giro delle due miniere di apparire con un ammonimento. La dimostrazione che una volta esisteva una realtà produttiva che si è sviluppata incurante dei confini comunali. Guarda a caso quella stessa che l’ente Parco avrebbe proprio per compito di recuperare, conservare e valorizzare.
Corriere Adriatico, edizione del 13 luglio 2009, Véronique Angeletti